La mediazione sociale è la più generale ed informale delle pratiche di mediazione. Con essa si può trattare ogni tipo di conflitto (che non implichi un reato) tra persone adulte: familiari, parenti, amici, soci, colleghi, vicini di casa, inquilini, proprietari, ecc.
Per avvalersi del servizio è sufficiente contattare il mediatore e prenotare un incontro. Il primo colloquio è individuale e serve per valutare la mediabilità del conflitto, inquadrare il problema, valutarne le conseguenze sulla vita del cliente, esplorare le possibili soluzioni. Se, a questo punto, il cliente si rende disponibile ad incontrare la controparte, questa verrà contattata dal mediatore, che ne verificherà la disponibilità sia ad un incontro individuale, sia alla seduta vera e propria di mediazione. Complessivamente, dunque, il percorso di mediazione si articola su tre incontri: i primi due individuali (di circa un’ora), il terzo congiunto (un paio d’ore). All’occorrenza, dopo il terzo incontro, possono essere svolti altri due colloqui individuali, per affrontare separatamente alcuni nodi che ancora impediscono la costruzione di un accordo, per poi concludere con un sesto incontro congiunto.
La mediazione si dice riuscita quando entrambe le parti si dichiarano soddisfatte del percorso fatto e dell’accordo raggiunto, che può essere stabilito in forma verbale o per iscritto, in base alla decisione delle parti stesse.
A differenza della mediazione sociale, quella familiare è specifica e ristretta ad un solo ambito e ad una sola tipologia di situazione conflittuale: quella della coppia in crisi, in vista, durante e dopo la separazione. In questo caso la mediazione è un percorso di fondamentale importanza, soprattutto se la coppia ha dei figli. Questi sono infatti i primi a risentire, anche per lungo tempo, degli effetti dannosi di conflitti protratti e mal gestiti. Inoltre, una coppia di genitori non cessa mai di essere tale, anche dopo la fine della relazione amorosa e dopo la separazione: deve continuare a relazionarsi per la gestione dei figli per molto tempo, dunque conviene a tutti che le relazioni siano improntate al massimo possibile di serenità e collaborazione.
Ancor più da quando la nuova legislazione in materia di separazione e divorzio (L. 54/2006) ha stabilito che la direzione prioritaria da percorrere, per quanto riguarda l’affido dei figli, sia quella dell’affido condiviso. La stessa legge caldeggia il ricorso alla mediazione familiare, per aiutare la coppia in via di separazione a riorganizzare in modo costruttivo e collaborativo la propria relazione, in funzione della comune responsabilità genitoriale e nell’interesse prioritario dei minori.
I modelli - e dunque le procedure - di MF sono molteplici. Personalmente, essendomi formata come mediatrice familiare alla Scuola dell’ASPIC (Associazione per lo Sviluppo Psicologico dell’Individuo e della Comunità), pratico il modello ASPIC Pluralistico Integrato, che si avvale di una molteplicità di tecniche e fa confluire nella figura del mediatore anche le competenze del counselor.
I figli possono essere invitati ad alcuni incontri, appositamente preparati, per raccogliere la loro domanda di ascolto, consentire loro di esprimere ed elaborare sentimenti, paure, richieste, e infine per comunicare loro gli accordi raggiunti dai genitori.
Anche in questo caso, se si vuole iniziare un percorso di mediazione, è sufficiente contattare il mediatore e prendere appuntamento.
La prima seduta è gratuita.
Un mediatore può essere chiamato anche per fornire un aiuto all’interno di gruppi (gruppi di lavoro, associazioni, partiti, aziende, condomini), per prevenire o gestire conflitti latenti o manifesti.
In ogni gruppo di lavoro prima o poi, inevitabilmente, si producono situazioni conflittuali che, se non gestite bene e tempestivamente, causano danni sempre più insidiosi alla funzionalità del gruppo stesso, minandone produttività, relazioni, tenuta.
L’inevitabile coinvolgimento, emotivo e materiale, degli aderenti rende pressoché impossibile una gestione efficace del problema dall’interno, come sa chiunque abbia avuto esperienze di questo tipo. È necessario pertanto avvalersi di una figura esterna, terza e imparziale, che – lavorando non sui contenuti, ma sul processo – aiuti il gruppo a vedere, affrontare e superare i meccanismi che hanno portato al conflitto e ad acquisire maggiori competenze comunicative per meglio gestire le relazioni interne in futuro.
Non si può determinare a priori il numero di interventi che saranno necessari al mediatore per aiutare il gruppo, poiché questi dipendono dal tipo di gruppo e dalla complessità della situazione: può bastare un solo incontro, per conflitti circoscritti, oppure, per un lavoro più in profondità, da cinque a dieci incontri di circa due ore ciascuno.
Imparare a stare in relazione significa anche e soprattutto imparare a gestire i conflitti e le difficoltà che ogni relazione comporta, gestire le proprie emozioni, comunicare in modo efficace i propri bisogni e i propri valori, saper lavorare insieme agli altri e rapportarsi alla diversità, evitare e neutralizzare la violenza e la prevaricazione, che sono scorciatoie sintomo di un analfabetismo relazionale. Sviluppare queste competenze, tanto importanti da esser state definite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità “Life Skills” (competenze per la vita), è fondamentale per i giovani, tanto quanto l’acquisizione del bagaglio culturale rappresentato dalle materie curricolari.
In base alla nostra esperienza, i ragazzi e le ragazze imparano volentieri le competenze necessarie per la gestione costruttiva dei conflitti (autoconsapevolezza emozionale, ascolto attivo, esercizio dell’empatia, comunicazione efficace, assertività, ecc.), soprattutto quando queste presentano la declinazione operativa della mediazione, poiché ciò consente loro di vedere da subito una ricaduta pratica di quanto appreso e di poter svolgere una funzione utile per i loro compagni e per la classe.
Portare la mediazione a scuola significa innanzi tutto formare un gruppo di ragazzi e ragazze alle conoscenze e competenze necessarie per poterla esercitare, con un percorso formativo che può andare da un minimo di 20 a un massimo di 50 ore. Successivamente gli studenti preparano un progettino per l’apertura, all’interno della scuola, di uno sportello per la mediazione dei conflitti, nel quale potranno turnarsi per ricevere e ascoltare i compagni e le compagne che, alle prese con un conflitto tra pari, richiedessero il loro aiuto.